La responsabilità dei genitori per gli illeciti dei figli


In molte città italiane si registrano orde di minorenni – anche di età tra i 13/15 anni - in preda ai fumi dell’alcool che la sera scorrazzano per le vie del centro provocando risse e atti vandalici, soprattutto nel fine settimana.
Qualcuno li identifica come baby-gang, altri sostengono che non ne hanno le caratteristiche poiché non agiscono in un contesto di criminalità organizzata. Sta di fatto che il fenomeno è preoccupante, non sempre sotto controllo e provoca allarme sociale tra i residenti e i commercianti. Il fenomeno non ha nulla a che fare con la cosiddetta movida e i problemi che essa arreca ai centri urbani, essendo un fenomeno che riguarda prevalentemente i maggiorenni e si riferisce a serate tra amici al pub o al ristorante con musica e festeggiamenti che turbano le notti dei residenti a causa degli schiamazzi e degli eccessi.
Il fenomeno in argomento riguarda invece giovanissimi che abusano di alcool, si danno appuntamento attraverso i social per aggredire gruppi rivali con spedizioni punitive anche con coltelli e oggetti contundenti, che provocano coetanei e passanti, che sono irrispettosi delle persone e delle cose pubbliche e private.
La pandemia ha senz’altro aggravato la situazione, ma tale fenomeno era già sensibilmente presente da alcuni anni. In qualche città si è pensato di identificare i gruppi di minori a inizio serata a mo’ di deterrente: spesso si vedono pattuglie che all’ingresso delle piazze o all’uscita delle stazioni della metropolitana fermano e chiedono i documenti ai giovani. È una misura preventiva, a mio avviso, dal dubbio successo. Il problema è che oltre allo scarso rispetto per ogni forma di autorità, tali giovani sono pervasi da un senso di impunità. Il gruppo/branco porta a fare cose che singolarmente non si farebbero, la paura sparisce, la forza viene esaltata e la responsabilità affievolita o addirittura eliminata (quante volte abbiamo sentito o letto “stavamo giocando”).
I coetanei vengono aggrediti senza rimorso e con sempre più efferatezza, senza paura delle conseguenze, anzi, addirittura come sfida all’autorità: veri e propri comportamenti antisociali. Si tratta di una generazione di ragazzi quasi del tutto assuefatti alla violenza, sostengono gli esperti in devianza minorile.

Quando poi i minori sono portati in caserma o in Questura perché responsabili di qualche reato, i genitori non raramente si dicono indignati dal fermmo del proprio figlio quando vanno a riprenderselo, spesso iniziano a polemizzare se non a minacciare di azioni legali gli agenti coinvolti. Non certo un buon esempio educativo per i figli. Spiace dirlo, ma i genitori hanno dimenticato di svolgere il proprio mestiere, tendono a minimizzare gli atti violenti dei figli tanto da legittimarli e, allo stesso tempo, mascherare la loro negligenza nella loro educazione. La scuola, inoltre, è incapace di confrontarsi con i bisogni reali dei giovani.
Giorni fa, fuori dalla stazione metro “Vittoria” di Brescia, ho contato ben sette autoradio delle forze dell’ordine e un mezzo dell’esercito impiegate per prevenire episodi del genere. Numerosi sono gli agenti che ogni fine settimana sono comandati di servizio per prevenire tali violenze, di conseguenza distolti dai servizi di prevenzione anticrimine come furti e rapine o, comunque, di controllo del territorio.
Alcune sere fa, una quindicenne, al fine di impedire l’identificazione di un suo coetaneo, ha dato un calcio a un poliziotto dopo che gli stessi si erano resi protagonisti di urla, liti, schiamazzi e danneggiamenti a fioriere nel centro storico. L’agente è dovuto ricorrere alle cure mediche. Chi ha meno di 14 anni non è imputabile, salva la possibilità di applicargli una misura di sicurezza, ossia la libertà vigilata o il ricovero in riformatorio.
Nel caso invece il minore abbia compiuto gli 14 anni, ma non i 18, egli risponderà dei reati commessi se ne viene dimostrata la capacità di intendere e volere. I genitori, invece, pur non rispondendo penalmente degli atti commessi dal minore (la responsabilità penale è infatti personale), devono risponderne civilmente e amministrativamente. L’art. 185 del codice penale recita infatti che “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”. I genitori sono quindi responsabili, tenuti dunque a risarcire tutti i danni che vengono commessi dai figli minori ad altre persone o a cose. L’ art. 2048 del codice civile recita poi che i genitori sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori e che gli stessi sono liberati dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto, cosa peraltro molto difficile da dimostrare in giudizio. La sentenza n. 24475/2014 della Cassazione recita infatti che i genitori non sono ritenuti colpevoli per le azioni del figlio solo se sono in grado di dimostrare di avergli dato una buona educazione e di aver avuto su di lui una vigilanza adeguata.
La responsabilità amministrativa dei genitori prevede regole simili a quelle della responsabilità civile, ossia essi dovranno pagare le sanzioni relative agli illeciti commessi dai propri figli (ad esempio una contravvenzione al codice della strada).

Molti studiosi del fenomeno ritengono che si debba intervenire rinforzando nei giovani la percezione dei valori morali. Altri invece che, oltre alla prevenzione, si debba ricorrere alla “tolleranza zero” attraverso l’abbassamento dell’età imputabile, da 14 a 12 anni, e l’incremento del periodo di detenzione del minore. A mio parere “tolleranza zero” significa invece una maggiore certezza della pena, ossia che ogni reato sia punito e la pena sia effettivamente scontata, consistente non solo in una pena detentiva ma anche, ad esempio, nell’affidare il minore ai servizi sociali al fine di sottoporgli dei modelli basati sulla solidarietà e l’inclusione.


In poche parole


Per affrontare tale fenomeno è necessario l'impegno:
- della famiglia, che ha il compito di educare i figli;
- della scuola, che è il luogo della socializzazione primaria;
- delle Istituzioni, deputate alla prevenzione e all’amministrazione della Giustizia.