Durante i miei corsi di formazioni sulla prevenzione e gestione degli atti di aggressione ai danni del personale sanitario mi riferisco anche a persone dall’aggressività innata.
In un caso mi è stato contestato da un RSPP che l’uomo non possiede un’aggressività innata ma è l’ambiente che lo condiziona a renderlo aggressivo.
Vorrei quindi affrontare tale argomento, pur non essendo io uno psichiatra o uno psicologo, rifacendomi ai miei studi e alle mie esperienze come criminologo specializzato in criminologia investigativa e forense. Non intendo quindi scrivere un trattato sull’argomento o un saggio scientifico, non ritenendomi assolutamente all’altezza, ma fare una riflessione dopo trent’anni che mi occupo di criminalità e criminali.
Da sempre gli studiosi si sono interrogati sull’aggressività umana e sono diverse le teorie sull’argomento. Molte le ho ritrovate leggendo un interessante libro scritto da Marina Cannavò dal titolo “Stop alla violenza a danno degli operatori della salute”, edito da SEU (2020), a cui farò riferimento da qui in avanti.
La teoria psicoanalitica ipotizza che il comportamento sia influenzato dall’inconscio. Il fondatore della psicoanalisi Sigmund Freud, in “Considerazioni attuali sulla guerra e la morte” (1915), scriveva: “Come ci rappresentiamo propriamente il processo mediante il quale un singolo essere umano perviene a un più alto livello etico? Una prima risposta potrebbe essere che l’uomo è originariamente fin dalla nascita buono e nobile; ma questa tesi non merita neppure di essere discussa”. Nonostante numerose revisioni avvenute nella sua vita, egli ha sempre sostenuto che l’aggressività fosse sostanzialmente un elemento innato della natura umana. Stando a Freud, quindi, l’aggressività non può essere eliminata poiché essa è una pulsione innata.
“Avendo però la famiglia il compito di educare i bambini alla formazione di una coscienza sociale che permetta loro di sviluppare un sentimento di colpa tale che li porti ad evitare comportamenti violenti, il crimine nei giovani può essere considerato come una reazione a una carente educazione famigliare” (Ferns, 2007).
La teoria etologica di Konrad Lorenz, afferma che l’aggressività umana è istintiva, innata del comportamento umano, al servizio della vita poiché assicura la sopravvivenza dell’individuo e della specie.
Nella teoria dell’apprendimento sociale si asserisce che la socializzazione si fonda sul processo di rinforzo e sul processo del modellamento. Bandura (1973) ha spiegato l’apprendimento sociale in tre modi: è originato dall’educazione che premia il comportamento apprezzato e punisce il comportamento biasimato; si è manifestato a seguito della reiterazione di determinate situazioni e dei comportamenti che ci si aspetta in quelle situazioni; si è sviluppato per imitazione dei modelli sociali.
La teoria broken windows afferma che ignorare o tollerare piccoli crimini può portare a fenomeni di emulazione che generano episodi ancora più violenti (Wilson & Kelling, 1982).
Le teorie di personalità distinguono le persone in due tipi, A e B. Le prime tendono a essere facilmente irritabili, le seconde hanno un comportamento più calmo. Alcune persone agiscono aggressivamente anche a minime provocazioni perché percepiscono un’intenzione ostile nei loro confronti (Dodge & Coie, 1987).
Le teorie biologiche sostengono che un comportamento aggressivo si fonda su un istinto innato o su un disturbo psicologico dovuto a cause biochimiche, fisiologiche o biologiche, quindi patologie ereditarie, anomalie genetiche, fattori neuroanali/biochinici, traumi e infezioni.
Vi sono poi teorie che sostengono che comportamenti aggressivi possono essere influenzati da allergie, condizioni ambientali, presenza di piombo, additivi nel cibo ecc. (teoria biochimica).
Altre che la violenza è causata da lesioni subite nei lobi frontali e parietali che possono portare a un discontrollo emotivo-comportamentale quindi a un’assenza di empatia a causa di un’acquisita sociopatia (teoria neurologica).
Una delle cause di una condotta criminosa può essere l’impedimento al raggiungimento di un obiettivo che può manifestarsi come aggressività diretta nei confronti di una persona verso i suoi beni o verso la società (teoria della frustrazione).
Infine, se è pur vero che la violenza verbale non sempre porta alla violenza fisica, è pur vero che è raro che un paziente diventi aggressivo fisicamente se prima non lo è stato verbalmente (Morrison, 1992, teoria gerarchica delle aggressioni).
Alcuni teorici sostengono, invece, che le persone decidono di fare le scelte che più si avvicinano ai loro desideri, considerate le situazioni e le possibilità disponibili (teoria della scelta razionale).
Il clima e i fattori ambientali (afa, elevata umidità, insufficiente illuminazione, livelli elevati di rumore, sovraffollamento ecc.) sono fattori collegati all’aumento dei comportamenti aggressivi. Uno stimolo ambientale spiacevole condurrebbe le persone a una reazione aggressiva per cercare di annullare la fonte dello stimolo (modello di fuga).
Per altri studiosi, l’eccitazione è fondamentale nel provocare condotte aggressive e l’eccitazione residua di una situazione precedente può trasferirsi a una nuova situazione anche a distanza di tempo e di luogo (teoria del trasferimento dell’eccitazione).
Il 7 settembre scorso è uscito un artico sul Giornale di Brescia, nel quale viene data notizia che i legali di un imputato per omicidio hanno chiesto e ottenuto una perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e volere del loro assistito al momento del fatto attraverso le neuroscienze. L’incarico è stato dato a Giuseppe Sartori, professore ordinario di Neuroscienze forensi e di Neuropsicologia forense dell’università di Padova, che avrà il compito di «Studiare il cervello, capire se ha un deficit genetico e analizzare le aree cerebrali» dell’imputato. Il perito inizierà la sua attività con il prelevare il Dna del soggetto, sequenziarne il profilo genetico e infine verificare se è presente la mutazione del c.d. «gene guerriero», il gene che con la proteina monoammino-ossidasi A spingerebbe una persona all’aggressività (https://www.giornaledibrescia.it/brescia-e-hinterland/omicidio-viktoriia-perizia-per-l-ex-si-cerca-gene-guerriero-1.3616226).
Concludo sostenendo che, dalla mia esperienza e dai mie autori di riferimento, vi sia un’aggressività innata in ognuno di noi ma non è detto che essa si manifesti e che si trasformi in violenza. Trovo conforto anche da quanto scritto dallo psichiatra e criminologo Massimo Picozzi, ossia che tra i principali fattori capaci di innescare una situazione di rischio, si evidenzia l’aggressività innata del paziente o dei suoi famigliari (Guida pratica alla sicurezza per gli operatori della salute, Pacini Editore Medicina, Pisa, 2013).