La colpa professionale del
Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione


Nel gennaio 2017 un tecnico della riabilitazione psichiatrica veniva ucciso con una coltellata da un paziente che stava seguendo. Il fatto avveniva presso una cooperativa bresciana che si occupa anche  di aspetti socio-sanitari legati alla psichiatria. Per quell’episodio è in corso un processo che vede 5 imputati tra dirigenti e medici.
ll 30 settembre 2021 è stato ascoltato il medico del lavoro dell’ATS di Brescia che si era occupato del caso. Dalla testimonianza resa è emerso che il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) “era gravemente carente” poiché non prevedeva l’ipotesi di aggressione da parte di un paziente, anzi “non trattava il rischio di violenza” e che le sole indicazioni menzionate erano “in caso di pericolo avvisare le forze dell’ordine e il dipartimento di salute mentale”. L’esperto ha anche testimoniato che “dei cinque infortuni già accorsi nella struttura ben due erano legati ad aggressioni da parte dei pazienti” ma che la vittima “non risulta avesse fatto una formazione specifica per riconoscere segnali di pericolo nei comportamenti dei pazienti”.

Il D.Lgs. n. 81/2008 prescrive infatti che il datore di lavoro deve valutare tutti i possibili rischi, compresi quindi, nel caso delle strutture sanitarie, anche l’aggressione da parte di pazienti. Tale rischio non solo deve essere valutato e inserito nel DVR (art.28), ma devono essere previste anche le misure di prevenzione e protezione da attuare per la riduzione del rischio stesso.
Tali misure possono essere tecniche, organizzative, procedurali, di protezione. Ho riscontrato spesso quanto appena evidenziato proprio nelle strutture sanitarie, le quali in molti casi omettono anche di informare, formare e addestrare il personale sanitario e socio-sanitario sul rischio aggressione.

La responsabilità non ricade solo sul datore di lavoro ma anche sul Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). Una recente sentenza della Corte di cassazione, la n. 11708 del 18 marzo 2019, ha evidenziato che “la più avveduta giurisprudenza della Corte regolatrice ritiene ormai pacificatamente configurabile, nella materia della prevenzione degli infortuni del lavoro, la colpa professionale specifica del Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione, in cooperazione con quella del datore di lavoro, ogniqualvolta un infortunio sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare. Al riguardo, è stato più volte ribadito che il Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione risponde a titolo di colpa professionale unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancanza di segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l’adozione di misure prevenzionali doverose”.